Chainsaw Man: nuovi volti, nuove tematiche

Published by

on

Scritto da Lorenzo Di Giuseppe

Fin dall’inizio della seconda parte di Chainsaw Man, manga di Fujimoto Tatsuki (1993-), leggendo molti commenti online è facile notare che molti lettori si sono sentiti traditi da quella che ritengono una storia che sembra non volere andare verso una direzione precisa, saltando schizofrenicamente da un’idea all’altra senza un vero filo conduttore, se non i personaggi, unico assoluto collante. La critica al momento non si è ancora espressa, temendo da un lato possibili smentite future – la serie è ancora in corso – dall’altro forse per un’atipica mancanza di interesse dettata dal considerare Chainsaw Man un mero divertissement, l’ennesimo fenomeno del momento privo di densità tematica e grafica. In realtà, gli elementi di vero interesse si nascondono nella scrittura e nei disegni di Fujimoto1, che, seppur cristallini, risaltano meno di ben più roboanti questioni di trama. Questo articolo tenta di evidenziarne uno in particolare: la desessualizzazione dei personaggi. In contrasto con la prima parte della serie, infatti, nella seconda tutti i personaggi, sia femminili che maschili, vengono privati della carica erotica che alcuni avevano precedentemente, portando così nuove riflessioni sulle pratiche di costruzione del character design e delle relative risposte del pubblico in merito. Al momento, è difficile prevedere come si svilupperà la serie, ma è altresì impossibile analizzarla senza fare riferimento alla questione citata. È necessario premettere che questo processo di desessualizzazione, secondo chi scrive, non è positivo né negativo, visto che non vengono espressi veri e propri giudizi di sorta, ma è uno sviluppo che merita un’analisi approfondita e mirata perché fondamentale nelle dinamiche che regolano la serie nella sua interezza.

Manga e sessualizzazione dei personaggi: una breve panoramica

L’erotizzazione dei personaggi nei fumetti giapponesi, soprattutto in passato e in particolare in Europa e negli Stati Uniti, è stata spesso oggetto di stigmatizzazione da parte dei media popolari, di gruppi di cittadini e dalla società in generale, che vedevano nelle rappresentazioni di personaggi femminili dalle forme esagerate o dai vestiti succinti, il riflesso dei desideri distorti di chi li creava o le proiezioni feticistiche di chi li fruiva. Tuttavia, questa ha offerto e offre ancora oggi uno spazio per ripensare i termini che possono essere dati per scontati dall’osservatore “occidentale” come “sesso”, “feticcio” e “fantasia”, mettendo in discussione i presupposti comuni sulla sessualità corretta per questo tipo di pubblico, su chi dovrebbe avervi accesso e su come l’identificazione e il desiderio operino nel processo di lettura. Attraverso una discussione sui manga, si può riconoscere che questa forma di produzione culturale crea siti alternativi e dimensioni diverse di ciò che viene tipicamente concepito come sesso e sessualità (Shigematsu, 1999: 128). La cultura di massa raramente è priva di significati politici, sociali e intellettuali e la sua recezione non è un semplice processo di influenza o di “corruzione” delle persone. Le configurazioni della sessualità nei manga possono essere viste come produzioni culturali che resistono alle interpretazioni riduttive su sessualità, identificazione e desiderio (Shigematsu, 1999: 128-129) e sicuramente la sessualizzazione dei personaggi può essere intesa entro questo framework.

Certamente, questo discorso lambisce temi di più ampia portata. In primis, il concetto di lolicon2. Nei recenti dibattiti in Giappone, infatti, i sostenitori di una nuova legislazione, che alla fine è stata adottata nel 2010, hanno sostenuto che le rappresentazioni sessuali e violente nei manga e negli anime dovrebbero essere regolamentate in modo speciale. Tuttavia, un’analisi della cultura lolicon, per esempio, suggerisce che i messaggi e le ricezioni sono, e sono sempre stati, molto più vari e complessi e persino la relazione tra finzione e realtà non è così semplice da decifrare (Galbraith, 2011: 84). In secondo luogo, tocca inevitabilmente il rapporto tra femminismo e cultura popolare. In un’epoca spesso definita “postfemminista3”, la concettualizzazione positiva del postfemminismo si è manifestata soprattutto nelle rappresentazioni della femminilità giovanile nella cultura popolare. Anche se le adolescenti donne hanno sempre incarnato un intenso potenziale femminista, perché la loro capacità di negoziare i ruoli di genere può costituire una libertà senza vincoli che rappresenta una minaccia al controllo maschile, la figura della ragazza è stata recentemente utilizzata nella cultura popolare contemporanea per dimostrare la presa di coscienza di una nuova femminilità riconfigurata (Gwynne, 2013: 328), in particolare nel contesto giapponese, dove i manga sono la forza trainante del mercato dell’intrattenimento. È necessario, dunque, prendere in considerazione non solo i discorsi sulla sessualizzazione all’interno del Giappone, ma anche come questi discorsi siano sintomatici di una preoccupazione ancora più ampia relativa al cambiamento dello status della donna giapponese. Dagli anni Settanta, infatti, la rapida crescita economica e il declino dei movimenti appartenenti alla Nuova Sinistra, hanno progressivamente apportato vasti cambiamenti alla società giapponese: la trasformazione industriale, la diversificazione del settore occupazionale, il calo del tasso di natalità, l’attivismo intersezionale e la meccanizzazione dei lavori domestici hanno contribuito direttamente e indirettamente all’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. In accordo con la visibilità e la crescente influenza delle donne nella società, alcuni commenti culturali giapponesi hanno sottolineato una conseguente “crisi della mascolinità” (Gwynne, 2013: 339-340), un fattore che si riflette in molte produzioni mediali contemporanee.

Una ripartenza diversa

In questo contesto mutato, il capitolo 98 di Chainsaw Man è già una sorta di manifesto, perché si palesano subito diversi elementi cardine di quella che sarà la seconda parte: una complessa struttura delle tavole – meno evidente rispetto alla prima parte, ma ugualmente degna di nota –, il tema della solitudine e dell’essere/sentirsi osservati, l’uso di ambienti claustrofobici e dell’estetica dei danchi4, il rallentamento dell’azione in sequenze chiave e la natura della paura. Tutti questi aspetti meriterebbero un approfondimento a sé stante, ma per quanto riguarda il focus di questo articolo ciò che è interessante prendere in considerazione è l’introduzione di una protagonista femminile con una particolare rappresentazione grafica del volto. Mitaka Asa, una ragazza apparentemente normale, ma turbata da sentimenti di inadeguatezza e sottile odio, viene uccisa da una compagna di classe trasformatasi dopo un patto con il Diavolo della Giustizia. In quel momento, il Diavolo della Guerra, il cui nome è Yoru, decide di fare un patto con Asa salvandola, ma possedendola, diventandone una sorta di seconda personalità. Il volto di Yoru, segnato da due profonde cicatrici, è il punto focale di tutto il discorso, perché Fujimoto sceglie di caratterizzarlo (Fujimoto, 2022: 42) con quella che viene comunemente chiamata “resting bitch face” (d’ora in avanti RBF), ovvero “faccia da stronzo/stronza”, una locuzione che indica l’espressione facciale tendenzialmente neutra di una persona, che viene però percepita da altri come manifestazione di fastidio.

Negli ultimi anni, la RBF è diventata da una parte un argomento per i rotocalchi di gossip o per la sezione cosmetica e salute dei quotidiani5, dall’altra un canone estetico che detta legge in ambito mediatico e non solo. Attrici e artiste come Kristen Stewart (1990-), Milly Alcock (2000-) e Billie Eilish (2001-) ne hanno fatto quasi un proprio marchio di fabbrica, definendo un nuovo modello estetico del volto femminile. In Chainsaw Man, la RBF, attraverso il taglio del volto, degli occhi e della bocca, esprime il forte senso di arroganza e potere di Yoru e la sua imperturbabilità di fronte agli eventi in cui è stata coinvolta e, inoltre, definisce una nuova “femminilità grafica” nei manga, che elimina i vecchi presupposti della bellezza per riscriverli in nuova forma, affermando subito il processo di desessualizzazione dei personaggi. È programmatico, infatti, che Asa muoia con il volto dilaniato e resusciti posseduta da un’entità che ha una faccia diversa, più sicura di sé. Oltre alla questione fisica, a livello concettuale è una precisa dichiarazione di intenti: addio ai vecchi canoni grafici, gloria e vita al nuovo character design in linea con la contemporaneità.

Delineare un volto così impattante nel momento clou del primo capitolo dopo due anni di pausa è fondamentale per far nascere un’accurata idea del personaggio nel lettore. Secondo alcuni studi, è noto che un’esposizione di soli 34 millisecondi a un volto è sufficiente per formare in chi osserva una certa sensazione e che questa non cambia con esposizioni più lunghe di 200 millisecondi. Avere una certa idea sui volti è un tipo di valutazione naturale che ha a che fare più con la percezione che con il pensiero (Todorov et al., 2015: 2). Gli scienziati hanno cercato di capire quali sono le caratteristiche del volto che portano a specifiche sensazioni. Dato che sono concordi nell’attribuire tratti di personalità ai volti, dovrebbe essere possibile identificare le caratteristiche o le configurazioni di caratteristiche che danno origine a tali attribuzioni. Una serie di studi hanno dimostrato che le caratteristiche globali del volto influenzano le attribuzioni sociali. Ad esempio, i volti adulti con un aspetto da bambino sono percepiti come fisicamente deboli, ingenui, sottomessi, onesti, gentili e calorosi, mentre i volti percepiti come raffinati, intelligenti e determinati sono spesso più avanti con l’età e integrano labbra sottili e rughe intorno agli angoli degli occhi (Todorov et al., 2015: 4). La doppia natura di questa espressione è, in senso fumettistico, sia un modo per evidenziare le azioni e il comportamento di uno specifico personaggio, sia un cambio di recitazione che permette nuove soluzioni. Per quanto non si tratti di “attori” in carne ossa, la resa relativa a questo elemento è decisiva, perché concerne il concetto stesso della parola “attore”, che deriva dal latino agĕre, cioèagire”. Asa è bloccata nella sua cupa quotidianità e non riesce a uscire dalla gabbia creatasi intorno a sé, non riesce ad agire in nessun modo: Yoru diventa così il suo modo per cambiare la sua vita e modificare la realtà che la circonda, tornando ad agire (re-agire). Questo è l’effetto grafico-narrativo, oltre che di una nuova espressione facciale, di nuove movenze e nuove parole (e nuovi modi di articolarle) (Fujimoto, 2022: 2).

Ovviamente, è anche e soprattutto una questione di disegno. Natsume Fusanosuke nota che determinate linee, con le loro forme, evocano certe impressioni ed emozioni nel lettore e a occhi rotondi sono associati volti più morbidi, mentre a occhi squadrati sono associati lineamenti del viso affilati, proprio per comunicare con pochi tratti una specifica attitudine del personaggio o uno specifico atteggiamento. Secondo lo studioso il disegno manga è un tipo di espressione che utilizza le impressioni intrinseche delle linee e le combina in modi complessi per creare l’impressione generale dell’immagine. Se si combinano visi rotondi e occhi squadrati, il viso rotondo che prima era carino diventa improvvisamente beffardo. Questo è dovuto al fatto che gli occhi sono un elemento molto importante nell’espressione di un personaggio nei manga, ma dimostra anche quanto sia importante l’impressione della linea stessa per l’espressione di un manga in generale. Naturalmente, anche l’interrelazione tra le linee (in questo caso, la posizione degli occhi) è importante, e infatti, se si cambia la posizione degli occhi, l’espressione del viso muta considerevolmente. Parlare di segno è sempre un tentativo di parlare degli elementi essenziali dello stile di espressione dei manga (Ogata, Natsume, Takakuma, 1995: 4-5). Natsume prosegue sottolineando il fatto che se si chiede di disegnare “linee che rimbalzano con gioia”, la maggior parte delle persone disegnerà una linea con una serie di parabole rivolte verso l’alto. Se gli si chiede di disegnare “linee deboli” o “linee tristi”, verranno disegnate linee sottili, tremolanti e rivolte verso il basso. Anche la persona che guarda le linee trarrebbe un’impressione positiva dalle prime e un’impressione negativa dalle seconde, perché ogni linea ha le sue proprietà ed evoca significati ed emozioni (Ogata, Natsume, Takakuma, 1995: 52).

Se si confrontano gli altri personaggi femminili si possono notare, poi, analogie e differenze. Fin dalla loro prima apparizione, sia Makima (Fujimoto, 2018: 12) che Fami (Fujimoto, 2022: 14) mostrano visi imperturbabili, entrambi emblemi della poker face, cioè quella particolare espressione facciale neutra che denota un’assenza di forti emozioni, un fattore centrale nella loro caratterizzazione sia grafica che narrativa. Nayuta, al contrario, nella sua esuberanza fanciullesca, lungo tutte le sue apparizioni varia le sue manifestazioni emotive attraverso il volto, indicando così come l’aspetto diabolico (connaturato) e quello umano (inculcato) siano in conflitto e quanto quindi sia implicitamente influenzata da Denji. Inoltre, la scomparsa di Makima, che per diverse scelte di character design e narrative era uno dei personaggi con più “azioni erotiche”, e l’arrivo di Nayuta, una bambina assolutamente innocente sotto questo punto di vista, depotenzia la carica libidinosa della serie, andando a rinforzare il processo di desessualizzazione dei personaggi: Himeno, il vero personaggio sexy della serie con la sua forte carica erotica, viene sostituito da Nayuta, simbolo dell’affetto. Un altro personaggio che viene stravolto da questo punto di vista è Quanxi. Nella prima parte del manga e fin dalla sua prima apparizione (Fujimoto, 2020: 7-8), la prima cacciatrice di Diavoli viene presentata in modo roboante, durante un’orgia insieme alle sue quattro ragazze. I suoi vestiti sono una canottiera molto attillata, dei jeans, tre spade e una benda sull’occhio come accessorio, pienamente nel topos grafico-narrativo della beautiful fighting girl (Tamaki, 2011: 3-4), mentre nella sua versione ibrida trasformata è un Diavolo nudo dalle forme femminili, con balestre al posto delle mani e corna, spuntoni e frecce che si diramano dal collo alla testa. Il ritorno nella seconda parte (Fujimoto, 2023: 13) avviene con un look decisamente diverso: uniforme da cacciatore di Diavoli (giacca, pantaloni e cravatta neri, camicia bianca), un più ampia benda di pizzo nera sull’occhio e apparentemente un ulteriore vestito di pizzo nero di qualche tipo sotto la camicia che arriva fino a metà collo. Il voler coprire ulteriormente un personaggio così iconico e amato, nato in un contesto erotico-sessuale, sembra essere in funzione della desessualizzazione di cui sopra.

L’unica sessualizzazione presente si verifica al capitolo 108 (Fujimoto, 2022: 4), quando Asa è costretta a trasformare uno dei suoi vestiti in un’arma6. Fujimoto, con una splash page, usando un piano americano dal basso, ci presenta una ragazza delle superiori in mutandine e reggiseno con una grossa spada in mano, una visione che – secondo osservazioni puramente personali – punta decisamente al fan service ma che, contrariamente a quanto si possa pensare, è molto calibrata all’interno della narrazione complessiva, visto che avviene esattamente 10 capitoli dopo la ripresa della serializzazione, come se fosse stata ampiamente premeditata (sicuramente è stata “stimolata” attraverso diverse scelte grafiche). Inoltre, il legame tra erotismo e possessione di un oggetto o di una persona è un tema che l’autore ha ampiamente esplorato nella prima parte di Chainsaw Man, soprattutto nel rapporto tra Denji e Makima. Yoru può trasformare in arma ciò che possiede ricalibrando le dinamiche di potere tra lei e chi con lei si interfaccia, ma inserendo come variabile il legame affettivo. Una dinamica innovativa all’interno di una serie che aveva presentato un personaggio (Makima) che aveva la possibilità di controllare chiunque proprio grazie al suo freddo comportamento. Non è un caso che sul finale della prima parte Denji riprenda totalmente il controllo della propria vita solo dopo aver cannibalizzato Makima, ovvero dopo averla posseduta e incorporata dentro di sé, un atto che assume un valore rituale (Kilgour, 2014: 4-5) e che permette al protagonista di superare la frustrazione data dall’impossibilità di consumare un rapporto sessuale.

Questo tipo di discorso, in maniera meno evidente, vale anche per i personaggi maschili, spesso al centro di discorsi e produzioni rootgrass che esulano dal loro contesto narrativo così come le controparti femminili. Aki è una variazione del “bello e dannato” che incarna una sorta di “perfetto marito /padre amorevole”, mentre lo stesso Denji, spogliato di frequente a causa della trasformazione, ha una carica erotica notevole, per non parlare dell’aura “vissuta” emanata da Kishibe. Tuttavia, nella seconda parte questa inclinazione si affievolisce fino a scomparire. Sia con Denji che con Yoshida – variazione contemporanea del “misterioso” – Fujimoto adotta un approccio concettuale, in linea con la decostruzione dei generi narrativi, argomento che verrà trattato nel prossimo paragrafo. È interessante notare che, a parte il protagonista Denji, Yoshida sia l’unico personaggio maschile con una decisa presenza all’interno della storia fino ai capitoli 133-134, nonostante l’introduzione di altri personaggi. Questo risulta più evidente in seno alla maggiore presenza femminile (Asa, Fami, Nayuta, Yuko, Fumiko, Diavolo della Caduta, Diavolo della Giustizia). Non è solo tanto, come si poteva pensare all’inizio, che Fujimoto cerchi di costituire un “parco waifu7” più ampio possibile atto a soddisfare un grande bacino di lettori maschili, quanto sembra sempre più palese la precisa volontà di istituire una narrazione al femminile della serie, una sorta di nuovo punto di vista – in senso narrativo, metanarrativo ed extra-narrattivo – che rispecchia i movimenti socio-identitari del mondo contemporaneo.

La crisi di Denji è certamente data dalla ricerca di un’impossibile normalità8, ma è anche un riflesso della crisi della mascolinità sopracitata. Denji è un ragazzo solo che con difficoltà cerca di prendere in mano la propria vita, perso nel flusso di segni del tempo in cui vive. Il mondo e le persone intorno a lui cambiano velocemente, si adattano a nuove situazioni ed eventi, mentre lui mantiene poche certezze e ancora meno obiettivi, sentendosi estraneo alla vita comunemente vissuta, soprattutto quando le donne salgono al potere, letteralmente e metaforicamente. Sembra essere così distante da loro da vivere quasi in una dimensione esistenziale diversa, nonostante si innamori, venga usato e dominato, e finisca anche per provare piacere in questi frangenti. Può essere probabilmente un’interpretazione leggermente audace, ma gli input lasciati dall’autore aprono a riflessioni interessanti sotto questo punto di vista.

Decostruire il genere romcom

Dopo 23 capitoli della seconda parte può sorgere l’idea che Chainsaw Man stia diventando una sorta di romcom splatter, ma nella mia impressione è che, partendo da una forte componente comica e romantica, si sia pian piano trasformato in un dramma strano e divertente che ha come tema principale la solitudine, elemento cardine anche della prima parte della serie, continuando così un percorso di decostruzione dei generi narrativi, soprattutto del genere romcom.

Asa è una ragazza fragile, mostrata quasi sempre da sola, che cerca di superare la solitudine nel modo più pericoloso e autodistruttivo possibile: Yoru, ovvero una sorta di metafora del bipolarismo. Per questo motivo, ad esempio, è davvero spaventoso, in senso letterale, ciò che succede nell’ultima pagina del capitolo 121, quando Asa viene fissata da un gruppo di abitanti di un palazzo, dopo che ha visto cadere una persona dallo stesso. Amplificata dalla solitudine, la sensazione di essere al centro dell’attenzione è prima fonte di imbarazzo poi di forte inquietudine. Passando a Denji, lui si trova bloccato in una difficile situazione familiare con una bambina “problematica” (si potrebbe anche dire che sia bloccato in una relazione tossica) e sta provando a superare la propria solitudine cercando una partner, pur sapendo che, se ne trovasse una, sarebbe punito in qualche modo e la sua ragazza potrebbe finire uccisa da Nayuta. Quindi, per chiudere il vuoto nel suo cuore, viene spinto e sente nascere dentro di sé l’idea di tornare una volta per tutte a essere Chainsaw Man per essere amato dalle persone, una via pericolosa che sa che lo potrebbe guidare verso risultati disastrosi. Inoltre, anche Fami e Yoshida, personaggi in qualche modo ambigui, agiscono sempre in solitaria e vengono molto spesso rappresentati all’interno delle vignette in tal modo, rimanendo quindi elusivi per proteggere loro stessi, usando così la solitudine come armatura.

Il nucleo romcom rimane comunque molto forte, così come la volontà di destabilizzare i suoi canoni da parte di Fujimoto. Questo genere viene considerato di frequente “di basso livello”, in particolare in ambito cinematografico, e contrapposto alla supposta qualità delle opere cosiddette “artistiche” (McDonald, 2007: 7) per la sua prevedibilità percepita, la moribonda politica sessuale, la sua presunzione culturalmente radicata di monogamia eteronormativa, la dinamica “ragazzo attivo”/“ragazza passiva” incorporata nella sua grammatica narrativa e l’inevitabile lieto fine sinonimo di dominio della donna (San Filippo, 2020: 3). Pur capitolando tipicamente nell’accoppiamento obbligatorio e nella fantasia romantica, anche la romcom più formulaica esprime complessità e ambiguità, in linea con la funzione del genere come rituale culturale per arbitrare desideri contrastanti e impulsi imperfetti. L’altrettanto ansiosa emarginazione delle minoranze razziali e sessuali e la sua tendenza a raggiungere un picco di popolarità in momenti di difficoltà sociale di genere rivelano la profonda insicurezza e l’ambivalenza del genere (e del suo pubblico) nei confronti della classica storia “Un ragazzo incontra una ragazza” e la conseguente regolamentazione dei ruoli sessuali e della differenza sessuale (San Filippo, 2020: 3-4).

Chainsaw Man, tuttavia, può essere inserita in quelle che McDonald, riferendosi al cinema, chiama “radical romantic comedy”. La principale caratteristica delle radical romcom, nate tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta negli Stati Uniti in un momento di profondi cambiamenti sociopolitici, tra cui la nascita di movimenti femministi, è la volontà di abbandonare l’enfasi sull’happy ending della relazione e interrogarsi invece sull’ideologia che sottende le storie d’amore. Le radical romcom avevano una forte componente realistica, non solo nella rappresentazione del sesso o della violenza, ma soprattutto nella descrizione delle relazioni e delle loro dinamiche e sfide intrinseche (McDonald, 2007: 59-62). Le altre caratteristiche delle radical romcom hanno tutte a che fare con l’io dei personaggi, la consapevolezza di loro stessi e l’autoreferenzialità del genere stesso, in tre aree in particolare: l’importanza del sesso per uomini e donne; il loro essere testi mediali che si rapportano con altri testi; la concettualizzazione di una più moderna e più realistica forma di commedia romantica. Le radical romcom riconoscono che i loro personaggi sono alla ricerca di relazioni significative e soddisfacenti e che cercano anche il romanticismo. L’idea che il romanticismo e la soddisfazione possano essere valori opposti è nuova per questo tipo di opere, in quanto i personaggi lottano per essere realistici e al passo con i tempi, pur desiderando il tipo di attrazione istantanea e di devozione eterna che le opere più vecchie ritenevano possibile (McDonald, 2007: 67). Una forma che l’autoreferenzialità di questi testi assume è la consapevolezza di essere opere moderne, che devono destreggiarsi tra le opposte pretese del realismo e del romanticismo. Come commedie romantiche, vogliono realizzare l’unione felice di una donna e di un uomo; come opere moderne, devono mostrarsi al di là dell’ingenuità su cui si basano questi accoppiamenti senza complicazioni. Ne risulta un gruppo di lavori che mostra apertamente il proprio realismo, ma che a volte sembra vergognarsi dei finali che mantengono la coppia unita. In questi, gli elementi moderni – riferimenti attuali alla liberazione della donna, al controllo delle nascite, alla psicoanalisi, nonché un linguaggio sessuale più franco e sboccato – possono sembrare orpelli aggiunti maldestramente su un vecchio framework per farlo restare al passo coi tempi. Le radical romcom sono consapevoli della loro storia e delle loro convenzioni e spesso sono felici di ribaltarle o riscriverle (McDonald, 2007: 68-69). In queste opere, viene posta attenzione anche al desiderio femminile e alla soddisfazione sessuale delle donne, oltre che degli uomini. Inoltre, l’ambientazione delle radical romcom è di frequente quella urbana, che aumenta il senso di realismo utilizzando luoghi reali o ispirandosi ad alcuni di essi (McDonald, 2007: 70-71). Infine, il vantaggio del romance come trampolino di lancio per l’impegno politico è che porta con sé l’ottimismo. Resistendo alle tendenze di romanticizzazione del genere, e allo stesso tempo sfidando la sua percezione di opera d’evasione, la commedia romantica radicale interrompe e sovverte la fantasia e la struttura della commedia romantica classica, esaminando le realtà e le complessità dell’intimità (San Filippo, 2020: 4), sfidando l’autoreferenzialità postmoderna del genere, il riconoscimento da parte di questi lavori della propria consapevolezza di essere commedie romantiche all’interno di una tradizione, nonché l’affetto e la frustrazione nei confronti del modo in cui l’amore romantico era stato tradizionalmente rappresentato (McDonald, 2007: 94).
Avendo esposto le caratteristiche delle radical romcom, si può facilmente intuire come la seconda parte di Chainsaw Man le riassuma in modo efficace, presentandosi come una versione a fumetti ulteriormente aggiornata delle stesse. Ovviamente bisogna sottolineare che anche nella prima parte, sia nella “storia d’amore” con Reze che con quella con Makima, la serie aveva preso una piega di questo tipo, ma nella seconda parte è molto più evidente proprio per il preciso e costante focus sulla questione, mai tralasciato o messo da parte.

Legato al processo di riscrittura del genere romcom, inserendosi come detto tra quelle radicali che fanno dell’autoreferenzialità e dell’autoriflessione due caratteristiche fondamentali, nella seconda parte di Chainsaw Man si innestano i concetti di metanarrazione e irrilevanza della trama.

Fujimoto è assolutamente consapevole di sovvertire i parametri che hanno regolato e che regolano tuttora la maggior parte degli shōnen mainstream e questa sua consapevolezza si ripercuote positivamente nella serie, in particolare in una seconda parte che, seppur compresa all’interno di una trama orizzontale, sembra prendere molte direzioni diverse, ramificandosi ulteriormente dopo ogni apparente fine di un arco narrativo. La metanarrazione di Chainsaw Man non sta tanto nell’inserire un fumetto nel fumetto, quanto nell’utilizzare il suo protagonista come perno per mostrare diverse sfaccettature di cosa può essere raccontato nei manga. In questo senso, sembra particolarmente rilevante l’arco narrativo attualmente in corso, in cui una guerra civile fatta scoppiare da una setta religiosa che adora un falso Chainsaw Man ha permesso il proliferare di altri falsi Chainsaw Man, essere umani trasformatisi a causa di un potere. Questa continua moltiplicazione riflette in modo palese quanto il personaggio si sia diffuso a livello globale e sia diventato un’icona al di fuori dei confini del fumetto, una perdita di controllo che influenza e “hackera” l’immaginario mondiale, visto che segna una ricerca del “ritorno alla normalità” dopo le imprese titaniche (ancora) offerte dalle più note serie shōnen mainstream come One Piece. Con i suoi ambienti, il suo linguaggio, l’uso di determinati stilemi e caratterizzazioni, Chainsaw Man manifesta quella che Iwabuchi descrive come un sintomo della natura mutevole del potere culturale transnazionale in un contesto in cui i flussi culturali globali intensificati hanno decentrato la struttura del potere e vitalizzato le pratiche locali di appropriazione e consumo di prodotti e significati culturali stranieri. La forza espansiva della globalizzazione, la trasmissione di forme culturali dai paesi dominanti agli altri attraverso le tecnologie di comunicazione e i sistemi di trasporto, ha portato a una “compressione spazio-temporale”, ovvero alla riduzione della distanza tra un luogo e l’altro (Iwabuchi, 2002: 35-36) – o tra un periodo storico e un altro, come succede nella serie, dove gli anni Novanta giapponesi, epoca buia sotto diversi aspetti e chiamata per questo “decennio perduto”, rispecchia la contemporaneità.

Altresì, questa proliferazione potrebbe anche essere l’estrema manifestazione dei ruoli sociali di Denji9: fratello maggiore, potenziale fidanzato, supereroe, divinità, demone. In Chainsaw Man, l’eroe non rientra più nei canoni del passato – neanche in quelli specificatamente attinenti al target di riferimento – e non può né vuole salvare tutti: la priorità è salvare se stesso e cosa ritiene importante.

A questo si lega poi l’irrilevanza della trama, che nella seconda parte si sfalda in una miriade di narrazioni minori parallele che solo lentamente e labilmente portano avanti la linea narrativa orizzontale, affidandosi a brevi archi che avvicinano o allontanano personaggi e li collocano in contesti emotivi e psicologici precisi, invece che gettarli nel tritatutto di un progresso verso un obiettivo o una fine.
Negli studi letterari, la narrazione inaffidabile è generalmente associata a una narrazione in prima persona o omodiegetica, modellata in modo tale da consentire ai lettori di adottare una comprensione della realtà diegetica diversa dal racconto del narratore. La discrepanza tra queste due valutazioni stabilisce una distanza, dotando il lettore di una posizione privilegiata da cui può ottenere una comprensione che il narratore non ha. La versione “non informata” del narratore è l’unica trasmessa esplicitamente. Un significato implicito in contrasto con il racconto del narratore deve essere costruito attivamente dal lettore, attingendo alla conoscenza del mondo in generale e delle narrazioni di finzione in particolare. Il narratore di solito non è consapevole del fatto che il suo racconto o i suoi giudizi possano sembrare problematici al destinatario. I conflitti tra le affermazioni del narratore e la comprensione del lettore sorgono di solito all’inizio e la discrepanza tra i due spesso persiste fino alla fine. Nella maggior parte dei casi, non c’è una riconciliazione finale dei punti di vista divergenti, dal momento che né chi sperimenta la lettura né chi narra ottengono la comprensione necessaria. L’introduzione della discrepanza non scatena necessariamente una reazione di sorpresa da parte dei lettori, e se lo fa, succede piuttosto all’inizio che verso la fine. Di conseguenza, la dinamica narrativa non è orientata verso un importante colpo di scena finale. Questa costellazione narrativa può essere considerata ironica. Le stesse affermazioni del narratore, tuttavia, non sono ironiche. Egli pensa davvero quello che dice. Ma il testo narrativo nel suo complesso è modellato in modo tale da suggerire o almeno consentire un’interpretazione alternativa o addirittura opposta (Brutsch, 2014: 58-59). Questo – a meno di eventuali sorprese – sembra essere proprio il caso della seconda parte di Chainsaw Man, che presenta diverse caratteristiche sopracitate o si inserisce in filoni quasi sovrapponibili.

Conclusione

Si può affermare che Chainsaw Man, desessualizzando i suoi personaggi, riscrivendo il genere romcom e abbandonando la dittatura della trama attraverso pratiche metanarrative autoriflessive, stia lentamente ma inesorabilmente decostruendo i canoni finora utilizzati per realizzare una storia a fumetti nel contesto editoriale giapponese mainstream, plasmandone dei nuovi, con nuove regole e strutture, grazie alle abilità di Fujimoto e alle intuizioni del suo editor. Quello che è necessario sottolineare è che non ci si trova di fronte all’ennesimo caso di fenomeno del mercato, creatosi per fortuite circostanze. Al contrario, si evince che la sostanza stessa dell’opera, al contempo dolce e viscerale, intercetti una serie di tematiche di grande rilevanza attraverso uno stile fresco e soluzioni grafiche originali, un mix di qualità di assoluto pregio e tutt’altro che banali nel panorama internazionale in cui anche la critica latita nel riconoscerne i valori.

Proprio per questi motivi, nella sua seconda parte in corso Chainsaw Man è una delle serie più incontrovertibilmente contemporanee, che guarda solo distrattamente al passato lanciandosi con impeto verso il futuro del fumetto.

Bibliografia

Brütsch Matthias, “From Ironic Distance to Unexpected Plot Twists: Unreliable Narration in Literature and Film”, in Jan Alber e Per Krogh Hansen, Beyond Classical Narration: Transmedia and Unnatural Challenge, Berlino e Boston, De Gruyter, 2014, pp. 57-80.

Fujimoto Tatsuki, Chainsaw Man, vol. 1-11, Tōkyō, Shūeisha, 2018-2020.

– Chainsaw Man, Shōnen Jump Plus, 2022-2024.

Galbraith Patrick W., “Lolicon: The Reality of ‘Virtual Child Pornography’ in Japan”, Image And Narrative, 12:1, 2011, pp. 83-119.

Gwynne Joel, “Japan, post-feminism and the consumption of sexual(ised) schoolgirls in male-authored contemporary manga”, Feminist Theory, 14 (3), SAGE, 2013, pp. 325-343.

Iwabuchi Koichi, Recentering globalization: Popular Culture and Japanese Transnationalism, Duke University Press, Durham e Londra, 2002.

Macdonald Tamar Jeffers, Romantic Comedy: Boy Meets Girls Meets Genre, Wallflower Pr, New York, 2007.

Kilgour Maggie, From Communion to Cannibalism: An Anatomy of Metaphors of Incorporation, Princeton University Press, Princeton, 1990 (2016).

Ogata Katsuhiro, Natsume Fusanosuke, Takakuma Kentarō, Manga no yomikata, Tōkyō, Takarajimasha, 1995.

San Filippo Maria, “Radical rom-com: not an oxymoron”, New Review of Film and Television Studies, 18:1, 2020, pp. 3-7.

Shigematsu Setsu, “Dimension of Desire: Sex, Fantasy, and Fetish in Japanese Comics”, in John A. Lent (a cura di), Themes and Issues in Asian Cartooning: Cute, Cheap, Mad and Sexy, Bowling Green State University Popular Press, Bowling Green, 1999, pp. 127-164.

Tamaki Saitō, Beautiful Fighting Girl, University of Minnesota Press, 2011 (2013).

Todorov Alexander, Olivola Christopher Y., Dotsch Ron, Mende-Siedlecki Peter, “Social Attributions from Faces: Determinants, Consequences, Accuracy, and Functional Significance”, Annual Review of Psychology, 66:15, 2015, pp. 1-27.

1Per semplificare, viene dato per sottinteso lo stretto rapporto di collaborazione tra Fujimoto e Lin Shihei, editor della serie e tra i principali fautori di altri successi internazionali come Spy x Family e Black Torch. Questa evidenza viene confermata in particolare nell’intervista tra i due al Jump Festa 2022.

2Lolicon, termine portmanteau delle parole “lolita” e “complex”, nella cultura popolare giapponese indica delle storie in cui giovani ragazze (non per forza in senso temporale, ma che sono disegnate per apparire tali) compaiono in contesti più o meno sessualmente espliciti. Il termine può indicare anche l’attrazione verso questo tipo di ragazze.

3Come affermato da diversi studi, il “post-” può essere inteso sia in accezione positiva, che sottintende un’affermazione del femminismo su larga scala, sia in accezione negativa, che sottintende un superamento del femminismo in un mondo che sembra non averne più bisogno (Gwynne, 2013: 328).

4Il termine “danchi” (lett. “gruppo di terreni”) indica un grande gruppo di edifici dal particolare stile e design, tipicamente palazzi grigi con molti piccoli appartamenti (assegnati agli inquilini con una lotteria), costruiti come alloggi pubblici dal governo giapponese tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Per chi volesse approfondire l’argomento in termini socioeconomici e di immaginario, consiglio due testi di natura molto diversa ma di grande impatto: The Life We Longed For: Danchi Housing and the Middle Class Dream in Postwar Japan (2018) di Laura Neitzel, saggio che analizza come i danchi siano stati promossi e visti come il sogno della classe media giapponese, e Danchi Dreams (2018) di Cody Ellingham, libro fotografico che documenta l’impatto strutturale dei danchi nell’architettura urbana contemporanea giapponese.

5Vedesi i diversi articoli dedicati alla questione da New York Times, The Washington Post, Huffington Post e Cosmopolitan.

6Il potere del Diavolo della Guerra permette di trasformare oggetti o persone che l’utilizzatore possiede in armi e più il legame è forte, più l’arma sarà potente.

7Waifu è un termine giapponese che deriva dall’inglese “wife”, moglie, e che indica, nel gergo di internet, un personaggio femminile non realmente esistente e non in carne ed ossa, di solito proveniente da anime, manga o videogiochi, da cui si è attratti sentimentalmente o sessualmente.

8La ricerca della normalità e quella conseguente di un proprio posto nel mondo, temi cardine all’interno di Chainsaw Man, sono argomenti centrali negli ultimi anni in Giappone. Parlando di media popolari, si possono citare La ragazza del convenience store (2016), libro di Murata Sayaka, e The Tokyo Night Sky Is Always The Densest Shade of Blue (2017), film di Ishii Yūya, che esplorano in maniera differente ma con la stessa profondità il sentirsi persi e privi di appigli nel mondo di oggi, i cui protagonisti si muovono alla ricerca del senso della propria vita.

9Ringrazio Antonio Vangone per la dritta sul libro Per una narratologia interculturale. I confini millenari tra Occidente ed Estremo Oriente di Valentina Conti (Mimesis, 2020), che mi ha dato alcuni spunti per ragionare su questa specifica questione.

Lascia un commento

Blog su WordPress.com.

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora