Le due vite del City Pop e l’eredità di Ōhashi Junko

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Scritto da Irene Renzi

L’ascesa internazionale del mercato discografico giapponese

Non è raro al giorno d’oggi notare la sempre più rilevante presenza della musica giapponese all’interno del panorama discografico mondiale. Tra gli anni ’90 e l’inizio del XXI secolo è stato il visual kei, grazie al suo stile iconico e all’influenza di generi musicali quali il glam rock e l’hair metal, a farsi strada nella scena rock internazionale con gruppi come gli X Japan e i Buck-Tick. Dai primi anni 2000 si è invece assistito all’ascesa di alcuni pilastri del J-pop contemporaneo, dall’eclettica cantautrice Sheena Ringo (1978-), alle Perfume, gruppo techno-pop di fama mondiale, a gruppi di Idol come le famosissime AKB48. Infine, negli ultimi anni, artisti pop-rock o alternative come gli One Ok Rock, i King Gnu e Yonezu Kenshi (1991-) hanno guadagnato sempre più importanza a livello nazionale prima e internazionale poi. Ad esempio, gli One Ok Rock possono vantare numerosi album certificati platino e tour di grande successo in tutto il mondo. Nel 2023 hanno partecipato come gruppo di apertura al tour mondiale dei Muse “Will Of The People World Tour”.

Ci sono numerosi fattori complici di questa graduale ascesa, ma tra questi possiamo sicuramente annoverare la sempre maggiore popolarità di prodotti come anime e drama, che hanno portato buona parte del pubblico internazionale a volgere lo sguardo verso il Giappone e a entrare all’interno delle logiche della fan culture (basata sulla fidelizzazione e sul collezionismo) che li circonda, rendendo questo aumento di popolarità un vero e proprio fenomeno culturale. Inoltre, vale la pena notare che il mercato musicale giapponese è da anni uno dei più proficui al mondo e può ancora vantare una cospicua percentuale di ricavi proveniente dal mercato fisico, a differenza della tendenza mondiale che vede generalmente una maggioranza di vendite digitali. L’IFP (International Federation of the Phonographic Industry) ha riferito che nel 2022 il mercato musicale giapponese è stato il secondo maggiore al mondo, preceduto solo da quello statunitense, e che dei 307 miliardi di yen guadagnati1 le vendite fisiche hanno costituito il 66% di quelle totali. Per fornire un confronto, la percentuale delle vendite fisiche all’interno del mercato degli Stati Uniti ha ammontato, nel 2022, all’11%2. Dunque, nonostante l’aumento delle vendite digitali e dello streaming anche in Giappone, dovuto soprattutto alla recente pandemia da Covid-19, il mercato fisico si è rivelato ancora una volta fondamentale e ha contribuito a mantenere viva la forte influenza e rilevanza della musica giapponese nel panorama mondiale.

La prima vita del city pop

C’è però un genere musicale giapponese in particolare che ha spopolato ovunque negli ultimi anni: il city pop. Non si tratterebbe di una storia inusuale, se non si tenesse conto del fatto che stiamo parlando di un genere nato e vissuto principalmente negli anni ’80 del XX secolo. Il motivo di questo rinnovato interesse verrà approfondito nel prossimo paragrafo; intanto è opportuno andare a scoprirne la nascita e le peculiarità, partendo dal suo legame con la musica pop europea e, soprattutto, statunitense.

L’influenza della musica americana ed europea su quella popolare giapponese affonda le sue prime e timidi radici nel passaggio dal periodo Edo (1603-1868) al periodo Meiji (1868-1912): in seguito all’arrivo in Giappone delle navi americane, guidate dal commodoro Perry, e alla conseguente apertura commerciale del paese, si assiste infatti a un progressivo cambiamento sia a livello politico sia a livello socioculturale. Con la caduta del bakufu3 e l’instaurazione di un governo maggiormente incentrato sulla figura dell’imperatore, si cerca di modernizzare la nazione da ogni punto di vista, per portarla quanto più vicina alle grandi potenze mondiali dell’epoca. In questo contesto vengono promulgate numerose leggi che regolarizzano la maggior parte delle attività legate alla produzione musicale, in modo tale da unire ciò che era considerato tipico della “vecchia” tradizione musicale a cosa era invece considerato “nuovo”. In questo modo il governo Meiji spera di creare un genere musicale che possa essere considerato unitariamente “musica giapponese” e che rappresenti un elemento identitario per presentare la nazione al mondo (Groemer, 2010). In questo periodo si possono sì trovare alcuni tentativi di unire gli stili musicali giapponesi a quelli, ad esempio, europei, ma date le premesse non sorprende constatare che non si sia trattato di esperimenti particolarmente popolari.

È invece in seguito alla Seconda Guerra mondiale che questa fusione comincia a dare i suoi frutti. Durante l’occupazione del Giappone, il governo statunitense pone grande attenzione nel promuovere e rendere accessibile la cultura popolare nel paese e questo si riflette soprattutto nell’ambito dello sport, in particolare con il baseball, e della musica. In questo modo, la musica giapponese tende a recepire moltissime influenze da quella americana, iniziando a far virare numerosi generi musicali verso modelli esteri. A causa di questo enorme peso dato alla musica statunitense, fino alla fine degli anni ’60 gli artisti più popolari in Giappone non sono giapponesi, bensì stranieri. Dalla fine del decennio, tuttavia, gli artisti giapponesi tornano ad assumere un ruolo di superiorità all’interno del mercato discografico nazionale, come testimonianza dell’assestamento della propria musica pop su binari ben stabiliti e indipendenti (De Launey, 1995). Nonostante ciò, l’influenza della musica straniera continua a essere presente e importante, in particolare, in questo caso, in quella che sarà la genesi del genere preso in esame: il city pop.

Come con ogni genere musicale, è difficile dare una data precisa a quella che è stata la nascita del city pop. Si tende generalmente a porne le basi nella produzione di alcuni artisti attivi verso la metà degli anni ’70, in particolare con gruppi come gli Sugar Babe, in attività dal 1973 al 1976, e gli Happy End, in attività dal 1969 al 1972. Questi gruppi si inquadrano all’interno della cosiddetta new music4, proponendo un connubio tra folk rock e psychedelic rock, entrambi generi largamente esplorati anche all’interno della scena rock internazionale di quegli anni. A questi due generi, tuttavia, aggiungono influenze funk che iniziano a far intravedere alcune caratteristiche dello stile che diverrà poi proprio del city pop. Gli Happy End sono inoltre considerati essere il primo gruppo rock giapponese a cantare in giapponese, rendendosi portavoce del recente movimento culturale di fusione dei generi musicali del paese con elementi provenienti da correnti internazionali (Sommet, 2019). Questi due gruppi, nonostante i loro pochi anni di attività, si rivelano così fondamentali per lo sviluppo della musica pop giapponese e, non a caso, producono alcuni degli artisti più importanti di questa scena musicale. Dalla formazione degli Happy End provengono Ohtaki Eiichi (1948-2013), solista che guadagnerà grande fama nel decennio successivo, e Hosono Haruomi (1947-), uno dei musicisti più prolifici e influenti5 della musica pop giapponese. Negli Sugar Babe, invece, troviamo Ōnuki Taeko (1953-), cantante che diverrà importantissima per lo sviluppo della musica pop negli anni ’80, e Yamashita Tatsurō (1953-), colui che è largamente considerato essere stato il maggiore interprete del city pop. Nel 2003 HMV Japan ha stilato una lista dei cento maggiori artisti pop giapponesi, inserendo, a riprova della rilevanza di questi musicisti, gli Happy End al quarto posto, Yamashita Tatsurō al sesto, Ohtaki Eiichi al nono, Hosono Haruomi al quarantaquattresimo e Ōnuki Taeko al cinquantaquattresimo.

Ci sono però due eventi specifici in cui possiamo individuare, convenzionalmente, la vera e propria entrata in scena del city pop. Il primo è la celebre pubblicità delle audiocassette Maxell, in cui figura un Yamashita Tatsurō immerso nelle acque del mare che osserva l’orizzonte, quasi sfidandolo.

La pubblicità, datata al 1980, serve come promo sia per l’azienda sia per l’ultimo singolo del cantante, Ride on Time, che è destinato a diventare uno dei brani più iconici del city pop. Yamashita unisce alle sonorità funk, già esplorate in precedenza coi già citati Sugar Babe, elementi del jazz e del tropical soul, sperimentando alcune delle caratteristiche tipiche del city pop e guadagnandosi l’approvazione degli ascoltatori. Il secondo evento è la pubblicazione dell’album A Long Vacation (1981) di Ohtaki Eiichi, in cui il cantante dà la sua interpretazione del nuovo stile musicale fornendo quello che è diventato senza ombra di dubbio uno degli album più di successo di tutta la storia di questo genere musicale. Ma questo album non si distingue solo per la musica: è anche la copertina dello stesso, a opera dell’illustratore Nagai Hiroshi (1947-), a diventare esemplare. L’immaginario scelto da Nagai, che raffigura una scena di vacanza a bordo piscina, verrà più volte ripreso e reinterpretato per costruire l’estetica del city pop, che si comporrà, tra le altre cose, di paesaggi tropicali dove l’acqua, il sole e la tranquillità fanno da padroni indiscussi (Sommet, 2019).

Il lavoro di Nagai, inoltre, si è rivelato negli ultimi anni una grande fonte di ispirazione per l’estetica e lo stile vaporwave, corrente che verrà analizzata successivamente.

Da un punto di vista più pratico, lo sviluppo e il successo di un genere come il city pop sono da contestualizzare all’interno della crescita economica che aveva portato il paese nella situazione di benessere e di equilibrio in cui si trova negli anni ’80. Vengono spesi sempre più soldi per stereo, audiocassette, walkman, entrati nel mercato a partire dal 1978, e, in seguito, CD. Contemporaneamente la clientela si configura come giovani adulti cresciuti ascoltando la musica degli anni ’60 e ’70 e che adesso, in quanto lavoratori, possono spendere sempre più soldi per i propri interessi musicali. L’azienda Sony, produttrice di tutti questi prodotti, aveva stretto alla fine degli anni ’60 un accordo con la CBS per interfacciarsi al mondo dell’industria discografica: già nel 1978 CBS/Sony diventa la casa discografica maggiore del Giappone. I clienti comprano i prodotti Sony per registrare le proprie canzoni preferite, per suonare la propria musica in macchina o mentre camminano, ma soprattutto (dal punto di vista dell’azienda) per ascoltare gli artisti promossi da Sony stessa (Sommet, 2019). Non c’è da meravigliarsi, dunque, se anche altre aziende e case discografiche iniziano a investire in questo mercato e nella musica più in voga, e non c’è da meravigliarsi neanche nel constatare che la musica più in voga in questo decennio sia proprio il city pop. Questo genere musicale prende ispirazione da alcune correnti della musica internazionale, specialmente statunitensi, e trasforma la tradizione della new music aggiungendovi elementi funk, jazz, soul, AOR e, in quantità minore, dance. In questo modo riesce a configurarsi sia come pop music orecchiabile e ballabile, sia come “Background Music” per altre azioni e contesti. La musica city pop è il sottofondo perfetto per i viaggi in auto, verso il luogo di una vacanza ma soprattutto all’interno della città: e in quanto musica pop dal sound calmo e sofisticato, ascoltata generalmente in macchina tra le strade della città, quale nome migliore se non proprio “city pop”?

Nel 1978, agli albori del genere, Yamashita Tatsurō, Hosono Haruomi e Suzuki Shigeru (1951-), anch’esso ex membro degli Happy End, si riuniscono sotto la neonata partnership discografica CBS/Sony per produrre un album strumentale che si pone come perfetto riassunto del passaggio dallo stile musicale degli anni ’70 a quello degli anni ’80. Intitolato Pacific, si tratta di un album jazz fusion con notevoli influenze elettroniche, lounge e tropical, mentre la copertina raffigura la foto di un’isola chiamata Motu Fara e situata nell’oceano Pacifico.

Ritroviamo tutti gli elementi già citati e che saranno dunque esplorati ancora più a fondo nella musica del decennio successivo. Oltre ai già citati Yamashita, Ohtaki e Ōnuki, tutti grandi interpreti del city pop, tra i pionieri del genere troviamo nomi come Miki Matsubara (1959-2004), Mariya Takeuchi (1955-), Tomoko Aran (1958-), Yasuha (1961-) e Ōhashi Junko (1950-2023). È proprio a quest’ultima, scomparsa pochi mesi fa e dalla carriera e discografia inestimabili, che sarà dedicata l’ultima parte di questo articolo.

Il fenomeno vaporwave e la seconda vita del city pop

Il motivo per cui i nomi citati nel paragrafo precedente sono ad oggi largamente conosciuti anche al di fuori del Giappone, non è da attribuire (solo) al successo di tali artisti. O meglio, non nel senso convenzionale del termine. Ciò è anche dovuto, infatti, a una “riscoperta” del city pop avvenuta online nell’ultimo decennio. Questo vero e proprio “rinascimento” prende ufficialmente avvio nel 2017, quando un utente di YouTube, dall’username PlasticLover, carica sulla piattaforma il brano Plastic Love (1984) di Takeuchi Mariya, apponendovi come copertina la foto scattata per un altro singolo della cantante, Sweetest Music.

Il video, favorito dall’algoritmo di YouTube, inizia a spopolare su internet e raggiunge in poco tempo le milioni di visualizzazioni. Qualche anno dopo, la canzone Mayonaka no Door/Stay with Me (1979) di Matsubara Miki si guadagna un simile destino su una diversa piattaforma, diventando virale sul social TikTok. Queste sono le scintille che fanno divampare il rinnovato interesse nei confronti di un genere che aveva già raggiunto il suo apice alla fine degli anni ’80. Questo fenomeno è però da inserire all’interno di un contesto molto particolare, ovvero l’ascesa di un genere musicale cosiddetto “digitale” o internet-mediated: la vaporwave.

Il genere vaporwave è un fenomeno musicale ed estetico che prende avvio all’inizio degli anni ’10 del XXI secolo sulla scia di altri generi musicali nati e sviluppatisi online, tra i quali annoveriamo il microsound, l’hauntology, l’hypnagogic pop e, più recentemente, la chillwave. Tutti questi generi hanno in comune il tentativo di andare a ripescare tradizioni musicali precedenti per poi rivalutarle e reinterpretarle secondo stili ed estetiche ben precise. L’hauntology, ad esempio, è un genere nato all’inizio degli anni 2000 che riprende la musica pop sperimentale dell’Inghilterra degli anni ’60 e ’70, usando loop e distorsioni per creare uno stile musicale distorto e psichedelico. Il nome e l’idea alla base derivano dal libro Spettri di Marx (1993) del filosofo francese Jacques Derrida, da cui viene ripresa l’idea del paradosso della postmodernità, in cui si trovano elementi che non sono né presenti né assenti, come se non potessero essere riconducibili a un preciso momento storico in quanto sono in qualche modo sempre esistenti. In questo contesto, l’hauntology rievoca dei generi musicali precedenti che però non sono esclusivamente propri del passato, in quanto continuano a “infestare” il presente (Born-Haworth, 2017).

La vaporwave riprende dai generi precedenti le tecniche di campionamento, la predilezione per i suoni synth e la riscoperta della tradizione musicale degli anni ’90 e, soprattutto, ’80. Si distingue, tuttavia, per essere il primo tra i generi internet-mediated a essere completamente modulato online: è la comunità del web a decidere come formularlo, a dare forma al suo immaginario e, in ultima istanza, a fruirne. L’estetica vaporwave, divenuta poi iconica verso la metà degli anni ’10, presenta uno scenario che si modula su numerose ispirazioni. In uno stesso artwork vaporwave possiamo trovare riferimenti alla prima era digitale, con vecchi PC e sistemi operativi obsoleti, insieme a statue greco-romane o personaggi di anime giapponesi, il tutto incastonato in una cornice cyberpunk e completato con i tipici effetti glitch. Ciò che deriva da tutto questo è un vero e proprio fenomeno online, che si pone a metà tra la rappresentazione e la critica nei confronti del consumismo sfrenato e del capitalismo (Born-Haworth, 2017).

Per quanto riguarda le ispirazioni musicali, le principali sono sicuramente lo smooth jazz, il lounge, l’R&B e la musica elettronica, ma intorno alla fine degli anni ’10 alcune tra le canzoni più campionate provenivano da un altro genere musicale: il city pop.

Alcuni musicisti vaporwave si sono trovati a utilizzare samples provenienti da canzoni city pop ancor prima che il genere tornasse nuovamente alla ribalta e, come è facile intuire, in seguito alla graduale riscoperta avviata nel 2017 l’ispirazione è divenuta ancora più palese. Sia vaporwave che city pop sono legati agli stessi generi, come lo smooth jazz, il lounge e il funk6, e ciò ha sicuramente facilitato l’avvicinamento del primo nei confronti del secondo. Due ulteriori elementi da considerare in questo contesto sono sicuramente l’influenza che l’estetica del city pop ha avuto su quella della vaporwave, in particolare grazie ai lavori del già citato Nagai Hiroshi, e il concetto di tecno-orientalismo7, che si riferisce alla rappresentazione, in media e prodotti culturali “occidentali”, dei paesi dell’Asia orientale, in particolare del Giappone, come estremamente tecnologizzati. Questa tendenza ha le sue radici principalmente nella percezione che i paesi occidentali hanno avuto del boom economico giapponese e si riflette perfettamente nel mondo vaporwave, che, esteticamente parlando, fa largo uso di riferimenti a prodotti e a estratti pubblicitari provenienti dal Giappone degli anni ’80 e ’90. Questi vengono presentati come simbolo di benessere e di avanzamento tecnologico e vi viene attribuito un senso di nostalgia a un periodo passato, contrapposto a un immaginario decadente testimoniato da immagini di centri commerciali abbandonati o addirittura scenari distopici e apocalittici (March, 2022). Nel tentativo di fornire una critica ironica del consumismo, dunque, il Giappone viene preso come massimo esempio positivo, apice della prosperità e della tecnologia.

Alcuni artisti vaporwave che hanno spesso utilizzato samples city pop sono SAINT PEPSI (poi Skylar Spence), Young BAE, Night Tempo e マクロス MACROSS 82-99. È inoltre comune usare gli stessi campioni, come ad esempio il brano 黄昏のBay City (1983) di Yagami Junko (1958-), il cui sample può essere trovato sia in Young BAE (“Bae City Rollaz”, 2014), sia in Night Tempo (“Bay City”, 2017).

Non è raro, tuttavia, trovare riferimenti a canzoni city pop anche nella musica pop più mainstream: l’esempio più famoso è probabilmente il campionamento di Midnight Pretenders (1983), originariamente cantata da Aran Tomoko, nel brano Out of Time dell’artista canadese The Weeknd.

La carriera e l’eredità di Ōhashi Junko

Una delle voci più prolifiche e rappresentative del city pop è sicuramente quella di Ōhashi Junko. Nata nel 1950 a Yūbari, in Hokkaidō, Ōhashi fa il suo debutto nel 1974 con l’album Feeling Now. I suoi primi lavori sono caratterizzati da una maggiore influenza jazz, soul ed enka, uno stile musicale popolare giapponese contraddistinto da un’interpretazione melodrammatica, e cita tra le sue principali ispirazioni artisti come Janis Joplin e Sérgio Mendes. Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 collabora anche con altri artisti, arrivando a formare il gruppo Junko Ōhashi & Minoya Central Station, e tra i brani più rappresentativi di questo primo periodo di attività possiamo annoverare Paper Moon (1976), Tasogare My Love (1978) e Silhouette Romance (1981).

Con l’avvento degli anni ’80, come per molti altri cantanti di quegli anni il suo stile si evolve e vira maggiormente verso il city pop. A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ‘80, Ōhashi pubblica diversi album, che culminano nel 1984 con Magical, una compilation di alcuni singoli e successi della cantante. Magical, nonostante la sua natura più compilativa, sarà destinato a diventare uno degli album più iconici del city pop, a partire dalla sua copertina: vi troviamo infatti raffigurato uno skyline della città di New York con al centro l’imponente figura delle torri gemelle, simbolo di ricchezza e benessere per il Giappone del boom economico.

Il brano più celebre e rappresentativo di questo secondo periodo è probabilmente Telephone Number (1981), il quale sarà anche uno dei più amati online durante il recente rinnovato interesse nei confronti del genere.

In seguito, Ōhashi prosegue con successo la sua carriera, pubblicando numerosi altri album e compilation e solidificando il suo ruolo come una delle cantanti più emblematiche della scena pop giapponese. Nel 1995 pubblica l’album Sweet Love, la cui omonima traccia diventa un grande successo. Nel 2020, venticinque anni dopo la pubblicazione del brano originale, viene rilasciato un remix della canzone a opera del dj giapponese DJ HASEBE, in cui Ōhashi Junko reinterpreta la canzone: la voce della cantante, maturata ma sempre potente, e lo stile tipicamente vaporwave dato al remix rendono questa collaborazione un interessantissimo esperimento musicale.

Nel 2018 le viene diagnosticato un tumore, ma la cantante riesce comunque a tornare sulle scene già nel 2019. Nonostante i problemi di salute e la situazione complicata dovuta al Covid-19, Ōhashi continua a esibirsi al massimo delle sue possibilità e cerca ancora continuamente di crescere a livello artistico. Tuttavia, nel marzo del 2023 il suo tumore si ripresenta e la cantante muore pochi mesi dopo, suscitando il cordoglio di fan e colleghi. Artista eclettica ed energica, dalla voce profonda e potente ma al contempo calda e dolce, Ōhashi Junko si è distinta nel corso della sua vita per personalità, talento e maestria artistica. Nonostante la sua morte, la sua voce e la sua musica continuano e continueranno a risuonare e a far emozionare vecchie e nuove generazioni. Il suo preziosissimo apporto alla musica pop giapponese (e non solo) sarà sicuramente ancora fonte di ispirazione artistica, garantendo al suo nome di continuare a vivere.

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【ファンの皆さま並びに関係者の皆さまへ】, in “Junko Ohashi Official Site”, http://junko-ohashi.com/info.html, 18-01-2024.

IMMAGINI

Copertina. Japan’s Sundrenched Americana, in “Tokyo Cowboy”, https://www.tokyocowboy.co/articles/uy1r8j003qdvb4ozr4qgplhd3yujyn, Hiroshi Nagai.

1. A Long Vacation, in “Wikipedia”, https://en.wikipedia.org/wiki/A_Long_Vacation, 18-01-2024. [Copertina dell’album “A Long Vacation” (1981) di Eiichi Ohtaki. Artwork di Hiroshi Nagai]

2. Pacific (1978 album), in “Wikipedia”, https://en.wikipedia.org/wiki/Pacific_%281978_album%29, 18-01-2024. [Copertina dell’album “Pacific” (1978) di Tatsurō Yamashita, Haruomi Hosono e Shigeru Suzuki. Fotografia di Shimpei Asai]

3. 竹内まりや* – Sweetest Music, in “Discogs”, https://www.discogs.com/it/release/8525997-%E7%AB%B9%E5%86%85%E3%81%BE%E3%82%8A%E3%82%84-Sweetest-Music, 18-01-2024. [Copertina del singolo “Sweetest Music” (1980) di Mariya Takeuchi. Fotografia di Alan Levenson]

4. Vaporwave, in “Wikipedia”, Di Ostarisk – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=59818562, 18-01-2024. [Esempio di immagine vaporwave. Artwork di Ostarisk]

5. Junko Ohashi = 大橋純子* – Magical, in “Discogs”, https://www.discogs.com/it/release/13685257-Junko-Ohashi-%E5%A4%A7%E6%A9%8B%E7%B4%94%E5%AD%90-Magical, 18-01-2024. [Copertina dell’album “Magical” (1984) di Junko Ōhashi. Fotografia di Masaharu Uemura]

VIDEO

1. 山下達郎 – Ride on time, in “YouTube”, https://www.youtube.com/watch?v=BHhr5BdKNic&t=13s&ab_channel=EpicMusicVN, 04-01-2024.

2. YUNG BAE – Bae City Rollaz [] 88rising W A V E S, in “YouTube”, https://www.youtube.com/watch?v=90Uuiyz8CjY&list=PLZou8mg_8vCVZS5yRwStH1Z8ZSb0Q9K2X&index=15&ab_channel=88rising, 18-01-2024.

3. Sweet Love feat. 大橋純子 (Junko Ohashi) / DJ HASEBE, in “YouTube”,  https://www.youtube.com/watch?v=_-de4T6QYh4&list=PLZou8mg_8vCVZS5yRwStH1Z8ZSb0Q9K2X&index=28&ab_channel=%E3%82%A4%E3%83%B3%E3%82%BB%E3%83%B3%E3%82%B9%E3%83%9F%E3%83%A5%E3%83%BC%E3%82%B8%E3%83%83%E3%82%AF%E3%83%AF%E3%83%BC%E3%82%AF%E3%82%B9, 18-01-2024.
4. 大橋純子と美乃家セントラルステイション シンプル・ラブ JUNKO OHASHI/SIMPLE LOVE, in “YouTube”, https://www.youtube.com/watch?v=Nq85VMsPybY&ab_channel=335funkynes, 18-01-2024.

  1. Dati forniti dalla RIAJ (Recording Industry Association of Japan).
    ↩︎
  2. Dati forniti dalla RIAA (Recording Industry Association of America).
    ↩︎
  3. Governo militare attivo nel periodo Edo.
    ↩︎
  4. Genere musicale sviluppatosi in Giappone all’inizio degli anni ’70, che prende ispirazione dal folk rock di artisti come Bob Dylan e presenta arrangiamenti musicali più complessi rispetto agli standard precedenti per la musica rock. Inoltre, con la new music il focus dei testi delle canzoni si sposta da tematiche sociali a tematiche personali. Tra gli artisti che più hanno definito questo periodo e questo genere possiamo annoverare Yumi Arai (1954-), Yōsui Inoue (1948-) e il duo Chage & Aska, in attività dal 1979 (Blistein, 2019).
    ↩︎
  5. In seguito alla sua esperienza negli Happy End, Hosono formerà nel 1978, insieme a Yukihiro Takahashi (1952-2023) e Ryuichi Sakamoto (1952-2023), la Yellow Magic Orchestra (YMO), divenuta poi uno dei pionieri della musica elettronica in Giappone. Tutti e tre i membri del gruppo porteranno anche avanti delle carriere soliste di grande successo.
    ↩︎
  6. Non a caso, il sottogenere della vaporwave che più utilizza campioni provenienti dal city pop è chiamato “future funk”.
    ↩︎
  7. Per un approfondimento su questo concetto, rimando al libro Techno-Orientalism. Imagining Asia in Speculative Fiction, History, and Media a cura di David S. Roh, Betsy Huang e Greta A. Niu (Rutgers University Press, 2015).
    ↩︎

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