Ikisaki intervista: Gianluca Coci

Published by

on

Gianluca Coci è professore di letteratura e traduzione giapponese presso l’Università degli Studi di Torino, curatore della collana Asiasphere per la casa editrice Atmosphere Libri e vincitore di illustri premi per la diffusione della cultura giapponese in Italia. In questa intervista scopriamo di più sulla sua passione per la letteratura, del suo metodo di traduzione e gli scrittori e mangaka preferiti.

Quando e come è iniziata la passione per la letteratura giapponese e la traduzione? 

Bisogna andare un po’ indietro nel tempo, agli anni del liceo, e ringraziare gli ottimi docenti che ho avuto, soprattutto il professore di filosofia che faceva lezione in maniera attiva facendoci leggere e discutere di quanto appreso. Poi ci portava in libreria e ci faceva scegliere i libri, leggevamo la quarta di copertina e ne discutevamo insieme. Infatti è così che ho scoperto la narrativa giapponese; negli anni ’80 c’erano pochi scrittori giapponesi tra cui Mishima Yukio, Kawabata Yasunari e Tanizaki Jun’ichirō e mi son piaciuti tanto. Quando, poi, fu il momento di scegliere l’università la scelta cadde su L’Orientale di Napoli proprio grazie a questa passione che nacque gli ultimi anni delle superiori per questi scrittori. Seguii qualche lezione di russo, cinese e giapponese e alla fine scelsi quest’ultima. Poi, grazie ai giorni in cui dovevamo affrontare le versioni di latino (che mi piacevano tanto), e grazie ai miei zii che mi facevano ascoltare musica rock, come Pink Floyd, The Beatles, Rolling Stones e leggere poesia simbolista in lingua, tra cui Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé, ho iniziato a tradurre in modo costante.

Che tipo di metodo utilizza? Quali sono gli step che segue durante il processo di traduzione?

Da un punto di vista tecnico preferisco tradurre un libro con cui già sono entrato in contatto e che ho letto perché è un vantaggio sapere già la storia, però non mi dispiace neanche tradurre qualcosa che non conosco. Di sicuro nel primo caso traduco con meno difficoltà, nel secondo caso mi appassiono alla storia pian piano mentre traduco. Il processo che seguo si focalizza sul leggere mezza pagina alla volta traducendo mentalmente così come son messe le parole, seguendo l’ordine della frase giapponese. Mi ritrovo poi con una frase in italiano improponibile, ma che segue al 100% il testo giapponese; il passo successivo è quello di riportarlo in forma scritta dandole già un senso. La prima stesura non è definitiva, ma, anche grazie alla mia esperienza più che ventennale, è già abbastanza simile alla forma finale. Questo processo mi aiuta tantissimo a interpretare la frase come fossi un madrelingua, anche se di sicuro un madrelingua scarso (sorride).

Quanto ha influito leggere tanti romanzi, saggi, opere in questo processo?

Tantissimo, e rimpiango sempre di non aver letto di più. Purtroppo faccio parte della generazione, soprattutto per chi come me traduce e scrive, che poi è andata a danneggiarsi con il linguaggio della televisione, della radio e infine dei social media. Non voglio demonizzare questo linguaggio o l’uso quasi necessario dei media citati, ma il processo di scrittura va in contrasto con questo nuovo tipo di stile; e in più già confrontandomi con persone di dieci anni prima di me mi son reso conto che io ho letto meno di loro. Quindi mi piacerebbe avere più tempo per la lettura.

Quando parla di lettura, va bene leggere qualunque cosa?

Qualunque cosa, certo, io ho iniziato, al di là della narrativa giapponese, con molti libri di fantascienza, come quelli della casa editrice Urania e Mondadori pubblicati negli anni ’70 e ’80. Penso di aver letto tutti i libri di Isaac Asimov e Ray Bradbury. Quello mi ha aiutato tanto poi per scrivere ed esprimermi.

Lei è curatore della collana Asiasphere per Atmosphere Libri: quanto è complesso curare una collana di questo tipo? Quali sono le difficoltà che si incontrano?

Prima difficoltà incontrata penso che sia quello dei fondi. Per poter scegliere bene bisogna sempre far i conti con il portafogli; Atmosphere Libri è un editore molto coraggioso, ma che deve capire bene come spendere i soldi perché molto piccolo. Non tutte le proposte vengono accolte perché quando si comprano i diritti magari si fa un’offerta che se non accettata fa sì che si decida di lasciar perdere. Poi, sicuramente, c’è la concorrenza perché circa dieci anni fa c’erano ancora poche case editrici che pubblicavano scrittori giapponesi, invece ora ci sono editori italiani che fanno di tutto per prenderne i diritti. Comunque ci difendiamo bene perché pubblichiamo autori di genere, anche, come gialli, thriller, horror, autori più mainstream o più alternativi. La collana è stata pensata anche per i giovani, in modo che possano tentate di avvicinarsi alla narrativa asiatica anche in quanto traduttori e non solo come lettori. Volendo poi parlare di un’altra possibile difficoltà, posso citare la presunta difficoltà dei testi. Noi ora siamo a circa cento titoli e ogni titolo ha la postfazione in modo che sia chi traduce che chi legge possa entrare in sintonia con l’autore sapendone di più, capendo meglio cosa volesse intendere, e questo, come mi è stato spesso detto, può spaventare i lettori che vedendo una postfazione possono pensare che il libro sia di difficile comprensione e che si debba fare lavoro in più per leggerlo, ma in realtà penso che non sia più così. È qualcosa che arricchisce la lettura. Infine, oltre alle difficoltà citate, c’è l’editore stesso che mi comunica cosa ne pensa, se si tratta di un titolo che possa interessare e che cerca di farmi comprendere il da farsi sul titolo. Però in ogni caso noi cerchiamo di pubblicare di tutto, la narrativa asiatica in tutte le sue forme.

Cosa prova nel vedere che gli studenti che lei prepara nei suoi corsi universitari hanno intenzione di seguire le sue orme?

Sono contentissimo! Diventa una prova che una parte dei miei obiettivi lavorativi son stati raggiunti. Così come i miei docenti mi hanno trasmesso questa passione, io spero di passarla a loro. Ovviamente quando insegno in classi di cinquanta persone so già che non tutti avranno voglia di diventare traduttori, ma di sicuro avendo a che fare con la lingua in futuro tradurre ora servirà loro per una crescita lavorativa. Conosco tanti studentə che già traducono o che stanno affacciandosi su questo ambito e sono molto felice di seguire quello che fanno. Una delle cose che non amo dell’università ad oggi sono le ore di lezione che ritengo siano poche, e non riesco in questo modo a insegnare appieno e star dietro agli studentə in maniera completa. Se potessi farei molte più ore, farei laboratori di traduzione completi, ma purtroppo con il sistema che abbiamo non verrebbero riconosciuti.

Quali sono i suoi scrittori preferiti? Ne ha qualcunə che le è particolarmente piaciuto o che vorrebbe tradurre in futuro?

Il traduttore, non dico che traduca di tutto, ma non distingue più di tanto chi traduce, anche perché a volte ci vengono assegnati dagli editori e se non li conosciamo finiamo per conoscerli per forza durante l’opera. Poi ovviamente ci sono scrittorə che rimangono impressi di più, e per me ad esempio ci sono Murakami Ryū, Furukawa Hideo e Abe Kōbō. Sono degli outsider, Murakami Ryū ad esempio è molto conosciuto in Giappone, ma al di fuori non è conosciuto così tanto, forse anche perché non è stato tradotto con costanza e si è un po’ perso. Per quanto riguarda Furukawa Hideo, ritengo sia uno dei massimi autori della letteratura contemporanea, ma compone scritti molto complessi e di difficile comprensione che vengono letti solo da una nicchia. Devo ammettere di avere dei gusti abbastanza alternativi e quindi quasi mai gli autorə che mi piacciono sono quelli più conosciuti o amati. Un autore che ho sempre voluto tradurre, e chissà se ci riuscirò in futuro, è Machida Kō, tradotto tanto in francese. Lui è un ex musicista punk e scrittore alternativo. Un altro è Nakahara Masaya che è noto come musicista anche lui col nome di Violent Onsen Geisha e che scrive racconti brevi molto interessanti. Tra l’altro uno dei suoi racconti l’ho tradotto per un numero speciale de l’Internazionale (n.1134 – anno 23).

Attualmente legge manga? Se sì, cosa? Se no, ne ha letti in passato e c’è qualcuno che l’ha colpita?

Il mondo dei manga è enorme e complesso e sicuramente vorrei avere più tempo per leggerne molti di più, però l’ultima serie letta, tra le più recenti, è quella di Death Note perché ha avuto un enorme successo ed è nelle mie corde. Tralasciando quello, ho letto molte serie shōjo degli anni ’70; ho letto tanto di Takemiya Keiko e Hagio Moto. Ricordo con piacere Siamo in undici (11人いる!) che è proprio un piccolo capolavoro. Poi ho letto manga più mainstream sempre degli anni ’70 di Nagai Gō come Dante Shinkyoku, Devilman e Mazinga. Sono contento che il manga stia avendo questo successo globale perché poi i lettori potrebbero decidere di dare un’occasione anche alla narrativa giapponese e magari affezionarsi a essa. Tra i manga letti mi piacerebbe citare anche Helter Skelter di Okazaki Kyōko e Thermae Romae di Yamazaki Mari che trovo siano estremamente interessanti. I manga sono a pieno titolo parte della letteratura e, a volte, possono valere anche più di un romanzo.

L’intervista si conclude qua e nel ringraziarla le chiedo se voglia lasciare un messaggio ai nostri lettori.

Seguite le vostre passioni e leggete sempre di più. Tenete sul comodino sempre un romanzo o un manga perché come dice Furukawa Hideo: <Leggere oggi un libro è la cosa più punk che possa esistere>. Il libro ti permette di scoprire mondi diversi e bisogna essere consapevoli che leggere sia una delle cose più belle che ci siano. È un’azione punk!

Intervista condotta di persona da Claudio Longo.

Lascia un commento

Blog su WordPress.com.

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora