Yamauchi Shigeyasu e il gioco delle maschere in Magica Doremì

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Scritto da Ali Raffaele Matar

Mentre l’attenzione pubblica risulta incessantemente incentrata su anime di successo concepiti per un target prettamente maschile, è necessario rammentare che molti dei grandi registi contemporanei di anime si sono formati su opere a target femminile, meno considerate dalla critica. Nonostante la mancanza di seria analisi critica, Ojamajo Doremi (おジャ魔女どれみ, Magica Doremì nella versione italiana), prodotta da Tōei Animation a partire da febbraio 1999, gode tutt’oggi di una notevole reputazione rispetto alla restante mole di titoli majokko1 del periodo tra gli anni Novanta e duemila, per via della lungimiranza della produttrice Seki Hiromi, che ha saputo selezionare con cura i registi cui ha affidato la realizzazione degli episodi. Fra questi, vanno annoverati i talentuosi Sato Junichi, Igarashi Takuya, Hosoda Mamoru e Yamauchi Shigeyasu. Particolarmente degno di nota è l’operato di quest’ultimo, grazie al quale la serie ha potuto godere di una complessità atipica per il genere in cui è incasellata per antonomasia.

Classe 1953, Yamauchi Shigeyasu è entrato a far parte della scuderia Toei già a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, operando prima come assistente alla produzione e, in seguito, come regista di episodi e film legati a serie di grande successo commerciale, come Tiger Mask, Saint Seiya, Dragonball, Dr Slump, One Piece, Yume no Crayon Oukoku e Digimon. Il suo approdo nello staff creativo di Ojamajo Doremi si lega alla lunga e trasversale esperienza nella lavorazione di opere di diverso genere. Sebbene abbia contribuito a dirigere tra il 1999 e il 2004, complessivamente, meno del 10% del monte totale degli episodi di Ojamajo Doremi (18 episodi su 214, suddivisi in quattro stagioni TV e una serie OAV), è doveroso attribuire a Yamauchi il merito di aver donato all’opera un taglio più sfaccettato e psicologico, rendendola, così, un eccezionale “esercizio di empatia”, pur essendo stata concepita con un’estetica colorata e infantile per il product placement di gadget per bambine. Gli episodi diretti da Yamauchi sono i seguenti: 39 e 49 della prima stagione; 3, 4, 42, 48 e 49 della seconda stagione (Sharp); 6, 13, 35, 41 e 47 della terza (も~っと, Motto), 5, 12, 19 e 28 della quarta (ッカ~ン, Dokkan) e 4 e 6 della serie OAV2 (ナイショ, Naisho), cui va ad aggiungersi il film della terza stagione (カエル石のひみつ, Kaeru Seki no Himitsu) da lui diretto nel 2001.

Il fil rouge che lega gli episodi di Yamauchi e che, sostanzialmente, li differenzia dai restanti della serie è la diffusa atmosfera poetica, l’enfatizzazione quasi teatrale delle situazioni di forte incertezza in cui si ritrovano i personaggi e la ricorrenza del tema della “maschera”, inteso proprio nell’accezione pirandelliana secondo cui “l’io” cela innumerevoli identità che rendono ardua la distinzione tra “essere” e “apparire” agli occhi altrui. Non a caso, per approfondire il concetto, il regista sceglie come sua musa Onpu (おんぷ, Lullaby nella versione italiana), l’unica tra le giovani protagoniste a essere una idol, attiva sia come attrice che come cantante. Il fatto stesso che, oltre a frequentare la scuola, lavori e goda di una diffusa popolarità, la pone sin dalla sua prima apparizione su un piano diverso da quello delle compagne che, essenzialmente, vivono un’esistenza che si può definire comune per delle ragazze di città. Se Doremi e le altre possono gestire il proprio tempo come meglio credono, Onpu deve sottostare ai suoi incessanti impegni professionali, fra prove, registrazioni, sessioni fotografiche e autografi, risultando nella maggior parte dei casi assente dalle varie attività del gruppo o, comunque, mentalmente distante.

Yamauchi si è fatto carico di vari episodi che ruotano attorno alla sua figura, di cui emblematico è il 49° episodio della prima stagione, intitolato パパに会える!夢を乗せた寝台特急, “Voglio incontrare papà! Il sogno che sta sul treno espresso“. La vicenda, su soggetto di Kageyama Yumi, si apre facendo luce su un lato inedito di Onpu: la ragazza, solitamente taciturna, viene colta in classe mentre parla con entusiasmo di treni, destando l’ammirazione dei compagni. Il tema della passione per le ferrovie strizza l’occhio ai cosiddetti densha otaku3, una nicchia particolarmente nutrita nel Paese del Sol Levante, cui la serie si rivolgerà anche in altre occasioni, nel corso delle stagioni successive. Dietro a questa conoscenza di Onpu c’è una spiegazione: il padre, di cui fino a quel momento non si era mai fatta menzione nella trama, pare essere un devoto macchinista che sembra quasi vivere sui treni, tanto preso dal lavoro da essere sempre assente nella vita della figlia. Proprio in quell’occasione, la giovane riceve dal padre l’invito a recarsi all’inaugurazione di un nuovo shinkansen guidato da lui, ma la data coincide con un altro suo impegno: l’audizione per una parte molto importante. Al provino, conosce una ragazza con una storia simile alla sua che, però, vive diversamente l’assenza del padre, scomparso prima di recitare nello stesso film. La ragazza, probabilmente una debuttante, ammette di voler ottenere quella parte per realizzare il sogno del defunto padre. Onpu, solitamente egocentrica e sicura di sé, finisce per immedesimarsi nell’altra ragazza, arrivando addirittura a ricorrere a una magia proibita per ridurre l’ansia da prestazione della concorrente, finendo per favorirla. Rispetto a lei, la protagonista sa di avere ancora un padre e, durante l’audizione, comprende che preferisce passare del tempo con suo padre invece di superare la gara e rischiare di non vederlo più. Tuttavia, il tempo stringe e lei non ha più modo di usare la magia per recarsi sul treno. Mentre corre, scivola per le scale e cade. Doremi e le altre, giunte lì per assistere all’audizione, scorgono l’amica in lacrime e decidono di aiutarla.

Tutta la “mise-en-scène” è profondamente infarcita di melodrammaticità. Nell’atmosfera generale, Yamauchi finisce per seminare vari dubbi nello spettatore: la Onpu che lotta contro il tempo per incontrare il padre è davvero lei o sarà calata in un altro ruolo, quello della concorrente che, ottenuta la parte, correrebbe a informare il padre (forse non realmente morto)? D’altronde, anche l’altra ragazza è un’attrice e potrebbe aver fatto ricorso a una menzogna per intenerire la protagonista e spingerla a cedere. E ancora: la Onpu che Doremi e le altre vedono piangere è la loro vera amica o è l’attrice che non ha ancora smesso i panni che ha magistralmente portato in scena pochi istanti prima, arrivando a commuoversi davanti alla giuria? Discernere l’attrice dalla persona risulta arduo. Singolare è la profondità con cui Yamauchi dipinge il personaggio nei momenti in cui si dimostra fallibile, non soltanto quando non ottiene il ruolo ma anche quando cade dalle scale e la sua immagine per terra finisce riflessa sul quadrante dell’orologio.

La Onpu dipinta da Yamauchi è quanto mai ambigua: ha un’aria da diva ma anche una spiccata umanità, capace di anteporre l’interesse di un’altra persona al proprio e persino di amare qualcuno più del lavoro per il quale si è immolata, soggiogata dal complesso paterno verso questa misteriosa figura, di cui il regista non mostra mai chiaramente il volto, assimilandone l’irraggiungibilità a un miraggio.

Complementare a questo si riallaccia un altro tra gli episodi più “maturi”, il 4° OAV, diretto nel 2004, incentrato sul dubbio amletico di Onpu che si domanda chi è lei realmente e chi è destinata a diventare se, così giovane, la sua identità accoglie frammenti dai mille ruoli portati al cinema, in radio, in TV e negli studi dove posa per ogni genere di foto. Yamauchi la paragona allegoricamente a un fiore che, raggiunto l’apice dello splendore, inizia a perdere i suoi petali e, prima di disperdersi del tutto, deve capire che direzione prendere per salvarsi. Il tema delle giovani idol che vengono rimpiazzate all’interno del panorama dello showbiz nipponico, non appena si palesano i presupposti di un clima di insuccesso, non viene solitamente affrontato quanto dovrebbe, soprattutto all’interno di serie destinate a un pubblico più giovane come Ojamajo Doremi.

Il compianto Kon Satoshi (1963-2010) aveva affrontato il declino delle idol nel suo insuperato esordio sul grande schermo, Perfect Blue (パーフェクトブルー, 1997), nel quale emergeva, però, il lato più inquietante del settore. Yamauchi, invece, si mantiene su toni meramente nostalgici e malinconici, tanto che la sua riflessione sulla caducità ricorda, a tratti, Omohide Poro Poro (おもひでぽろぽろ, 1991) di Takahata Isao (1935-2018). In effetti, nella seconda parte dell’episodio, Onpu si ritrova su un treno e, mentre guarda attonita la sua immagine specchiata sul finestrino, quasi non si riconoscesse più, si ritrova in un villaggio di pescatori, dove rivede la se stessa da bambina, sulla falsariga della Taeko del film di Takahata. Potrà, così, far cadere la maschera che indossa ogni giorno e guardare cosa si nasconde realmente dentro di lei, dietro quella maschera? Una maschera che un tempo, forse inconsciamente, desiderava ma che, col passare del tempo, le è stata sempre più imposta dalle aspettative altrui, finendo per confonderla e annebbiarla.

Come da consuetudine dello stile di Yamauchi, le ambientazioni circostanti si fanno via via più sbiadite, tingendosi di toni seppia, come se d’improvviso si venisse risucchiati dentro una vecchia fotografia. Tutto appare come in un sogno. Onpu è sola e i suoi pensieri si tramutano in un vero e proprio monologo teatrale. Oltre al fantasma della se stessa da bambina, nessuno è con lei per testimoniare l’avvenuta concretezza di questo viaggio dai contorni quasi onirici. D’altronde, Onpu è sola anche quando è con le compagne, che non riescono mai a comprenderla fino in fondo.

Yamauchi trasmette il turbinio di emozioni della protagonista attraverso un uso massiccio di metafore visive, prima fra tutte l’ossessiva dicotomia “palco/platea”, riscontrabile nell’uso frequente di campi lunghissimi e inquadrature dall’alto o, viceversa, dal basso, a marcare la distanza fra attori e spettatori. Onpu sembra costantemente recitare e ogni luogo in cui si trova finisce per sembrare un teatro, anche quando si trova su un molo. I riflettori sembrano accendersi su di lei persino nello studio fotografico, dove un solo cameraman diventa per lei tutta la platea. D’altronde, la giovane è sempre stata abituata a essere al centro dell’attenzione: nessuno è mai riuscito a cogliere il suo bisogno di normalità. Anche le amiche che frequenta da anni la osservano da lontano, nonostante siano spesso a pochi passi da lei, e assistono alle sue vicende da mere spettatrici, sempre dietro uno schermo, una finestra o un altro filtro. La vita di Onpu scorre in parallelo rispetto a quella delle altre, su un binario dove a lei, solo a lei, non è mai concesso togliersi la maschera da attrice.

In diversi altri episodi diretti da Yamauchi, ricorre il tema della maschera e dell’immedesimazione. Nel quinto episodio dell’ultima stagione, 素顔のおんぷ, “Il vero volto di Onpu“, il regista mette in scena una Onpu più onesta, giocosa e infantile. In verità, si tratta della piccola Hana che ne ha preso le sembianze per consentirle di riposarsi dallo stress del lavoro. Durante la sessione fotografica, tutti restano spiazzati da questo lato inedito della diva, che appare piena di brio, ma anziché credere che non sia lei, finiscono per convincersi che, in fondo, stia ancora una volta recitando. Onpu viene messa da parte negli episodi 12 e 19 dell’ultima stagione, in cui il regista dissimula altri parallelismi: nel primo, Doremi finisce per indossare i panni di Hana e cerca di recitare in modo convincente la parte dell’amica per indurre il ragazzo che le piace a confessarsi; nell’altro, le protagoniste si sostituiscono alle figlie dei gestori di un bagno pubblico e di un locale di sushi per capire cosa significa lavorare incessantemente ogni sera, sulla scia dell’esercizio di empatia trasmesso, spesso tra le righe, dalla serie.

Il tema della maschera raggiunge la massima espressione per Yamauchi con il mediometraggio intitolato カエル石のひみつ, “Il segreto della rana di pietra”, che si apre mostrando una misteriosa figura con il volto coperto da una maschera. Il mitologema alla base del film parla della straziante leggenda dei due amanti Zenjuro e Mayuri: all’uccisione dell’uomo da parte del proprietario terriero dell’epoca segue il suicidio della compagna, la cui scomparsa affligge solo una rana in pieno patimento, alla quale è dedicata la statua in pietra posta sulla montagna dove vanno in villeggiatura le protagoniste. La tragedia, probabilmente attinta dal bagaglio folkloristico nipponico, ben somiglia a quelle portate in scena nel caratteristico teatro Noh (能). La maschera indossata da Mayuri ricorda, infatti, le tipiche maschere femminili “omi onna”. L’antica arte del teatro Noh, secondo il professor Giorgio Amitrano, ha sempre avuto uno stretto rapporto con il buddismo, come si ravvede nell’inconsueta aura di spiritualità che ne pervade le performance. Yamauchi cerca di rappresentare nel film un’atmosfera simile, esplorando non solo il tema della maschera ma anche quello dell’inconsueto. I personaggi sembrano, difatti, tutti assumere un atteggiamento insolito, come se stessero recitando un dramma nel dramma. Sensazione che giunge al culmine quando Doremi indossa la maschera e recita la parte di una commossa Mayuri davanti a quello che è convinta essere il fantasma del defunto Zenjuro e che, invece, si rivela essere il nonno di Doremi. Tutta la regia è suggestiva. Le musiche dal sapore folkloristico si fondono con la forte luce rossa, che si accende sulla scena come un faro teatrale, portando la tensione verso un livello di serietà mai visto prima nella serie.

A riprova della chiara visione teatrale del regista è il suo continuo focalizzarsi sulla gestualità e le movenze dei personaggi, che ne rivelano la tensione. Mani e piedi vengono costantemente inquadrati in tutti i suoi episodi, diventando una sorta di riconoscibile marchio di fabbrica.

Un altro aspetto da non sottovalutare nella poetica di Yamauchi è la ricorrenza del tema del confronto generazionale, con un accento posto sulla terza età e sullo scorrere del tempo. In particolare, vanno presi in considerazione l’episodio 28 dell’ultima stagione, intitolato おばあちゃんズにはかなわない, “Le nonne sono invincibili?” in cui le protagoniste visitano una casa di riposo e il magistrale 6° OAV, intitolato 金平糖の思い出~ばあやのないしょ, “I ricordi del Confetto ~ Il segreto di Baaya” in cui viene raccontato il commovente passato dell’anziana tata di una delle protagoniste. Va notato che, anche nel film, il regista aveva scelto di focalizzarsi sullo sfaccettato personaggio del nonno di Doremi, che finisce per impersonare anche il nonno di Aiko, nei pensieri di quest’ultima.

Il 6° OAV, ambientato in parte nei giorni che precedono lo scoppio della Seconda guerra mondiale, sulle note della danza della fata confetto tratta dallo Schiaccianoci di Tchaikovsky, si conclude con una commovente riflessione sulla rivalutazione dei ricordi ed è stato indicato da Yamauchi come l’episodio che preferisce tra tutti quelli su cui ha lavorato nella serie.

Conclusione

Date le premesse, si può, dunque, constatare che, al contrario di altri registi, come Hosoda Mamoru che si è servito della serie per esprimere idee e tecniche concepite per altre opere rimaste inconcluse4, Yamauchi Shigeyasu si è messo a completa disposizione di Ojamajo Doremi, cercando di adattare il proprio talento e il proprio tocco alle linee guida di produzione. Tuttavia, sebbene i suoi episodi non abbiano goduto della stessa fama dei soli due episodi diretti da Hosoda, l’intera serie ha potuto giovare dell’originalità del suo approccio intimistico e teatrale, senza il quale non sarebbe oggi rimasta tanto impressa nella sua cerchia di appassionati.

Bibliografia

AA.VV., Ojamajo Doremi – Naisho no Naisho. Ohzora Shuppan. 2005

AA.VV., Ojamajo Doremi – Memorial Album Perfect. Ohzora Shuppan. 2016

Amitrano Giorgio, “Le strade arcane del teatro giapponese quando il rito si fonde con il racconto”. Hystrio, trimestrale di teatro e spettacolo, anno XXV – 1/2012.

Boscarol Matteo, “L’amore per i treni e il racconto del presente”, Il Manifesto, 07/10/2016

Celi Michele, “Il mondo di Mamoru Hosoda”. Università Ca Foscari. Venezia. 2016

La Marca Paolo, Pop Generation. La letteratura giapponese ai tempi del cellulare, Falzea editore. 2017.

Matar Ali Raffaele, “’Il castello errante di Mirai’, quando Hosoda bistrattò Miyazaki con Doremi”. Limina. 2024

Teteruck Brandon, “Creative Spotlight: Shigeyasu Yamauchi”, Crunchyroll, 2017.

1 Opere rivolte a un target prevalentemente giovane formato da ragazze in età scolare, caratterizzate da stilemi fantasy in cui le protagoniste sono solitamente maghette, streghette o generiche eroine dotate di poteri.

2 Episodi speciali destinati al mercato homevideo, non a una trasmissione televisiva a cadenza regolare e che, per questo, vengono realizzati con una maggiore cura tecnica.

3 Si tratta di appassionati di treni, di solito maschi di età variabile, che hanno fatto del loro amore per le ferrovie ed i vari modelli di treni quasi una ragione di vita. La passione per i treni ha molte sfaccettature e librerie ed edicole sono colme di riviste specializzate che analizzano e mostrano i vari modelli di treni con le loro rispettive caratteristiche stilistiche e meccaniche, ci sono inoltre altre pubblicazioni che legano la passione per la ferrovia con il vintage, foto di vecchie stazioni e treni che non ci sono più che giocano sì sulla nostalgia, ma che funzionano anche come una sorta di manuale di storia popolare.

4 Prima che ne prendesse le redini Miyazaki Hayao, Il Castello errante di Howl avrebbe dovuto avere per regista Hosoda Mamoru che, sebbene avesse lavorato intensamente al progetto, sarebbe stato estromesso dallo stesso veterano dello Studio Ghibli a causa di divergenze creative. Hosoda adattò le idee avute per la sua versione inconclusa di Howl nel 40° episodio di Ojamajo Doremi Dokkan, che ha avuto un notevole successo di critica.

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